LE LISTE DI RECORD NELL'ATLETICA
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La lista è una rappresentazione
Una lista è un modo di rappresentazione delle informazioni. Un esempio semplice di lista è la schedina del totocalcio, dove non ha particolare importanza la posizione di ogni singola partita, infatti l'ordine in sé non ha nessun significato. Un secondo tipo di lista è l'albo d'oro. Prendiamo l'albo d'oro del campionato italiano di calcio: rappresenta quali sono state storicamente le squadre più forti del nostro torneo. Che cos'è una lista di record di una specialità dell'atletica?
È un particolare tipo di lista, che ha due caratteristiche tra loro contrastanti: 1) ogni singolo record è un evento, appartentente a un momento ben definito e delimitato nella storia della specialità; 2) però se si mettono insieme tutti i record si forma un "tutto" unico con un proprio significato ("la storia dei 100 metri", per esempio). La lista di record conferma il principio secondo il quale "il tutto è maggiore della somma delle singole parti" (Principio olistico). La contradditorietà di una lista di record è che, pur essendo un elenco di episodi unici, di exploit, deve rappresentare l'evoluzione storica di tutta la disciplina, e quindi anche degli atleti che non compaiono nella lista. La lista dev'essere conforme, sovrapponibile (matching) al reale.
Nella storia dell'atletica c'è stata un'Olimpiade in cui si sono prodotti dei record che hanno evidenziato questa contradditorietà in una maniera mai più eguagliata. Sto parlando dei record fatti alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, che hanno allontanato dai valori reali le liste dei record di 100, 200 metri, 400 metri e salto in lungo maschili, privandole di quasi tutto il loro significato. Certamente l'elevata altitudine del luogo (2243 metri) ha giocato un ruolo importante, infatti le prestazioni memorabili di questa Olimpiade vennero ottenute soprattutto nelle gare veloci. Gli exploit furono così unici da provocare un netto scostamento della lista dei record mondiali dalla storia reale. Prendiamo il record più eclatante: gli 8,90 metri nel salto in lungo. L'imprea risultò eccezionale se si pensa che per tutti gli anni '60 il record del salto in lungo registrò un lieve progresso da 8,21 a 8,35. Per dare un'idea di come questo record fosse fuori della storia, è significativo dire che fu considerato negli anni seguenti del tutto inavvicinabile e non venne preso come misura-prova dell'eccellenza della disciplina, che rimase per tutti gli anni '70 intorno agli 8,30-8,40 metri. Si cercò di "dimenticarlo", delegando il compito di batterlo alle future generazioni.
Ma, dopotutto, che cosa bisogna fare se ci sono atleti che compiono imprese così prodigiose? Proibire che i record vengano battuti di "troppo"? No, sarebbe ingiusto. L'opinione generale è che l'evoluzione dei record debba restare comunque legata agli eventi, ai fatti (tutti i fatti): solo così può rispecchiare il progresso naturale di una specialità.
Ragioniamo su questa affermazione. Io penso che il concetto di "progresso naturale" sia in realtà una trappola perché è come se si dicesse che le liste si compongono da sé, senza l'intervento di nessuna autorità che certifichi i record. In realtà ogni record viene omologato dalla Federazione internazionale (IAAF) e l'omologazione avviene solo se sono state rispettate delle regole. Quindi non basta che si verifichi l'evento, occorre un'autorità che certifichi che l'evento si è verificato.
Il "progresso naturale" di una specialità è un mito. In verità le tabelle non sono conformi al reale sulla base dei fatti, ma sulla base di convenzioni, di regole arbitrarie. Sono le regole, il codice, che fanno i record. I primati di Città del Messico mettono completamente allo scoperto il falso mito del "progresso naturale".
Il record è un'operazione
Dicevo prima che si verificano solo gli eventi che rispettano un codice di regole. Allora il record, più che l'opera di un atleta, è un'operazione, nel senso che è una decisione consapevole e arbitraria che spetta all'organismo che omologa il record, cioè che stabilisce che l'evento si è veramente verificato.
Diventa interessante a questo punto studiare le regole, cioè il codice che fa sì che i record possano essere omologati.
Nelle discipline in cui si sono stabiliti i record citati all'inizio, l'unica regola specifica riguarda il vento che soffia in pista: secondo la regola non deve superare i 2 metri al secondo e si applica a tutte le gare (anche gli ostacoli) fino ai 400 metri esclusi. Nel 1968 non esisteva la regola attuale secondo cui ogni prestazione ottenuta al di sopra dei 1.000 metri deve essere contrassegnata con la "A" (Altitudine).
Leggiamo ora la lista mondiale del salto in lungo maschile. La lista dice che il punto massimo a cui era arrivato l’uomo nel 1968 era 8,90 m e che questo limite è stato superato solo nel 1991. Il fatto che tutte le prestazioni degli anni '70 e '80 siano nettamente inferiori all’8,90 di Beamon che significato ha?
Secondo la logica dovremmo credere che a queste gare non abbiano mai partecipato gli atleti più forti del mondo. Ma noi sappiamo che i vincitori delle Olimpiadi e dei Mondiali (Lutz Dombrowski nel 1980, e poi Carl Lewis) erano effettivamente i saltatori più forti del mondo. Siamo in presenza di una contraddizione: i dati della lista sono dei fatti storici, però non ci parlano del mondo.
Se questi dati reali non ci parlano del mondo, allora bisogna cambiare il codice che li fa diventare dati reali.
La mia intuizione è che per fare in modo che la lista dei record sia la fotografia del reale bisogna cambiare le regole con le quali le tabelle dei record vengono fatte. La nuova regola che ho trovato si trova in un saggio chiamato "Nuova attitudine all'altitudine".